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Corrado Bologna
Uno stampatore del Rinascimento nel XX secolo.
Roberto Gatti è uno stampatore d'arte del Rinascimento nato per caso nel XX secolo. Quando lo conobbi, a Modena, nel luminoso laboratorio di via Verona, preparavamo per Editalia quello che sarebbe diventato in poche settimane il Quijote di Mimmo Paladino, uno stupefacente libro d'artista pieno di acquetinte, acqueforti, fustellature, collages, disegni, accompagnati dalle poesie che Giuseppe Conte scrisse per quell'occasione. Di libri d'artista avevo sentito parlare; qualcuno lo avevo anche visto e sfogliato, con l'aria incantata dei bambini davanti alle meraviglie: io che di libri, fra i libri, per i libri vivo da sempre, e su di essi misuro il mio mondo e la mia anima. Ma vederlo nascere, un libro d'artista, prender parte alla sua gestazione, coccolarlo a bocca aperta via via che le sue pagine sbocciano dalle carezze amorevoli dell'editore-stampatore, fresche, ancora umide, con i colori che sembrano sgorgare per miracolo specchiandosi sulla carta bianca appena appoggiata alla lastra e premuta con il torchio, è stato uno dei privilegi di cui la vita mi ha fatto dono.
Mentre nasceva il libro d'artista, con Mimmo Paladino preparavamo anche un'edizione illustrata del Don Chisciotte, che sempre Editalia avrebbe poi pubblicato, in contemporanea con il fastoso capolavoro che Roberto Gatti stava allestendo. E nel contempo io scrivevo per Mimmo la sceneggiatura di un film, Quijote, che sarebbe stato presentato al Festival di Venezia, in cui Peppe Servillo con la sua aria stralunata interpretava l'hidalgo impazzito per la lettura di troppi libri di cavalleria e Lucio Dalla, ironico, sornione, copriva il ruolo di Sancio Panza, il servitore analfabeta, avido, proverbioso.
Rischiai di diventare anch'io un cavaliere errante, in quei giorni caldi e frenetici della tarda estate del 2005. Li passai viaggiando fra lo studio di Mimmo a Paduli, la casa di Giuseppe a Imperia, il laboratorio di Roberto a Modena. Una triangolazione perfetta, Nord-Sud, Est-Ovest, mentre i paesaggi e gli accenti cambiavano, e io andavo e venivo, sul Ronzinante della mia fantasia, e domandavo e speravo, e partivo e tornavo: e dopo pochi giorni ciascuno dei tre mi restituiva il doppio di quel che avevo chiesto. Da Paduli arrivavano a Modena sorprese incantevoli, e Roberto raccoglieva gli stupendi originali di Paladino e li componeva in forma di libro dalle grandi proporzioni seguendo un arioso ritmo interiore, una musica cartacea e cromatica.
Roberto e Mimmo si parlavano, da lontano, e si capivano a perfezione. Partivano dal Sud al Nord tracce di alta maestria, oggetti insieme estetici e colmi di pensiero, eleganti e originali, che tornavano più tardi dal Nord al Sud stampati, elaborati, impaginati con intelligenza e creatività. Il loro era un amor de lonh trobadorico, una vibrazione sottile di due sensibilità armonizzate. Io portavo a Modena le poesie che Giuseppe Conte aveva composto su mia richiesta, dopo lunghi dialoghi nella luce della sua Liguria; e Roberto Gatti li accoglieva con la cura di chi sa trattare i testi come fossero immagini, e capisce e interpreta le immagini nella loro natura di testi: tessuti di idee e di emozioni, di passione e di rigore.
Soprattutto mi colpiva, a Modena, il rapporto affettuoso e sereno di Roberto Gatti, sovrano gentile, con la sua compagna di vita e di lavoro, Anna Maria Piccinini e con i suoi aiutanti, attenti, silenziosi, partecipi: elfi pensosi chini a raschiare e a polire le lastre, ad accarezzarle con batuffoli d'ovatta; gentili fatine che con una bacchetta magica facevano fiorire dal torchio fogli istoriati con grazia. Anna Maria, senza dire una parola, dirigeva i suoi orchestrali come fanno i maestri, ma suonava uno strumento anche lei, armonizzandosi nel concerto silenzioso.
Io li chiamavo "i gattini", giocando sui nomi. Non lavoravano: giocavano, proprio come fanno i gattini con i fili di lana, intrecciandoli in tappeti meravigliosi. C'era in quel gruppo di amici collaboratori qualcosa di impalpabile, impercettibile, un'aria lieve e giocosa da bestiario allegorico del Medio Evo, un tono fiabesco che era luce, consonanza. Quando arrivavo nella stamperia di Modena era per me una festa spirituale e carnale. Mi faceva sentire e toccare con mano le categorie di Italo Calvino: la leggerezza, la rapidità, l'esattezza, la visibilità, la molteplicità, la consistenza e coerenza del lavoro e dell'arte rispetto al gioco bello e grande della vita.
Poi, come nelle favole, Anna Maria e gli altri gattini facevano fiorire le tavole di piattini e bicchierini e forchettine, e di delizie semplici e buonissime: erano le tigelle, era lo gnocco fritto, erano piccoli banchetti sobri e profumati, in mezzo ai torchi e alle lastre colorate. Non coglievo bene dove finiva il divertimento e dove incominciava l'impegno e la fatica. Roberto e Anna Maria mi spiegavano, e io fingevo di capire le differenze fondamentali fra le tecniche di incisione. Ma quando il foglio scivolava sotto la pressa e spuntava dal lato opposto come un arcobaleno schiacciato dal rullo di un mago, io ero pronto a credere al miracolo, che svettava annullando le ore e i giorni di certosina pazienza e di rifinitura sopraffina. I fogli, i libri, le stampe, sembravano portenti naturali, o forse addirittura prodigi soprannaturali.
Erano haiku delicati, come le sette incisioni di Guido Pigni accompagnate a sette poesie "alla giapponese" di Oreste Ferrando, edite da Roberto Gatti nel 2001. Erano visitazioni e sogni, come le sette acquetinte di Davide Benati accompagnate da uno scritto di Sandro Parmiggiani, del 2003. Erano clippers veleggianti negli oceani dell'invenzione e del gusto, come i due libri ariosi e giocosi pubblicati da Roberto sotto questo nome, Il racconto dei numeri di Mimmo Paladino e Peppe Servillo, un'aritmetica fantasiosa e soavemente onirica, e A Demetra di Joe Tilson, un leporello che pareva un'iscrizione della Grecia arcaica, colma di mito nel suo dipanarsi screziato e misterioso. A un altro leporello ho collaborato anch'io con Roberto, l'anno passato: e fu un nuovo privilegio, una nuova festa. Scrissi un testo introduttivo e lo accompagnai con una scelta di schegge verbali di grandi pensatori della storia e di geniali sconosciuti, intorno al tema dell'ombra, che tutti ci assedia, ci accompagna, ci seduce. Per Ombre Mimmo Paladino incise lastre lievissime di sogno piene di cavalieri e di omini sperduti nell'esistenza, e creò carborundum scabri, aspri per il dito e la pupilla; Ferdinando Scianna scattò foto che sono teatri d'ombre orientali, universi fluttuanti, tracce nero-su-bianco da film di Hitchkock, e che si affacciano a dialogare con le pagine di Paladino in un ininterrotto fluire cartaceo. Da bianco a nero, da nero a nero, da bianco a bianco, macchie di Nulla emergono negli scatti di Scianna e nelle lastre di Paladino, inquietanti pitture di luce e d'ombra cadenzate in sequenze di luoghi e di gesti quotidiani, di comunissime "cose" derelitte, abbandonate dagli uomini e dal senso. Il leporello che ora ha nome Ombre, racchiuso in una preziosa scatola bianco-nera, è un gioco di specchi, fisici e metafisici, ingannevoli e affascinanti come gemelli siamesi.
Quando chiesi a Roberto Gatti la ragione del nome leporello, mi rispose sorridente che non c'è nulla da capire: così si chiama da sempre, nell'editoria d'arte, il libro a forma di fisarmonica, armonioso strumento di carta e di musica. Io, stupefatto, osservando e ascoltando quelle consonanze sonore e visive, capii d'improvviso, e sorrisi a mia volta: è proprio un leporello il catalogo delle conquiste di Don Giovanni che, nel film magnifico di Losey, il servitore Leporello, veloce come un leprotto, sciorina alla disperata Donna Elvira giù per le scale della Rotonda del Palladio, nella più bella scena, forse, che sia mai stata scritta per il teatro musicale. Un leprotto, un leporello, un gattino felice che dà felicità al mondo è Roberto, con il suo gruppetto di amici, compagni, fratelli di gioco. Caro Roberto, il catalogo è questo dei tuoi primi trent'anni di gioco. E voi, lettori innamorati, osservate, leggete con me...


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