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Sandro Merli
Nutrirsi di segni
"So bene che il segno non è il vero, tuttavia io mi nutro di segni". Questa confessione degli anni della giovinezza, del mio "viaggio sentimentale" nell'arte, si rinnova ogni qual volta visito una mostra d'incisioni -che è fatta di segni- o varco la soglia di una stamperia. E sono già state tante.
Quando guardo le incisioni, seguito a raccogliere i "frammenti di un discorso amoroso" iniziato tanti anni or sono e per fortuna non ancora concluso. Ma quando entro in stamperia, mi trovo letteralmente calato ne "l'impero dei segni".
Non si creda che questi riferimenti letterari siano del tutto voluti: mi diverte pensare ma non sono un pensatore sistematico. è che certe idee bizzarre, certi pensieri un po' folli mi vengono facili, difficili da governare.
Anche nel gusto, nel collezionare non sono sistematico: amo l'incisione, chi la fa e chi la stampa (che a volte sa farlo meglio di chi la fa) e questo senza pregiudizio dei generi e delle tecniche. Ma pretendo il rigore e la qualità, come nell'amicizia.
Roberto Gatti stampatore per vocazione, artista per indole e formazione, è mio amico. Mi piace di lui, soprattutto, l'apparente svagatezza con cui tratta il suo nobilissimo ed antico mestiere, liberandolo dai falsi miti e dai millantati ruoli di cui si fanno forti artisti e stampatori mediocri. E amo i libri d'artista che produce. Ma sono poi libri questi oggetti del desiderio? Il libro d'artista è la combinazione (felice) nell'oggetto libro, delle due fondamentali espressioni grafiche: la scrittura (redazione di un testo letterario o poetico) e il disegno a stampa (l'incisione originale nelle sue varianti).
Il luogo in cui nasce il libro d'artista è la stamperia, che è un luogo magico dell'immaginazione e della bellezza. Sono cose probabilmente già sentite dire, e me ne scuso, ma davvero non saprei dir meglio.
è nella stamperia che prende vita, attesa con trepidazione, l'immagine che l'artista ha concepito e inciso sulla lastra (calcografia) o disegnata sulla pietra (litografia) o intagliata nel legno (xilografia). Il libro d'artista (le livre de peintre, come si chiamava allora) ha un padre, Ambroise Vollard (mitico mercante d'arte), una patria (la Francia dell'inizio del '900) e una storia.
Il libro d'artista diventa presto un oggetto estetico, accompagna lo sviluppo delle avanguardie storiche del secolo ed entra a pieno titolo nella storia dell'arte.
Si ebbero quindi libri nabis, libri fauves, libri cubisti, espressionisti, futuristi, surrealisti, ecc., tutti nel solco tracciato da Vollard. Come Vollard sia diventato editore, lo racconta lui stesso: accanito lettore, gli capitò sotto gli occhi un libro sulla cui copertina, in basso, c'era scritto: Ambroise Firmin-Didot, editore. Pensò che anche lui si chiamava Ambroise e che gli sarebbe piaciuto vedere libri con scritto in copertina: Ambroise Vollard, editore.
Al di là della geniale civetteria di inventarsi una leggenda, una qualche ragione di puro piacere doveva pur esserci, se ha fatto i libri che ha fatto, tra i più emozionanti che io ricordi. Li ho visti qualche anno fa a Venezia. Ricordo che il giorno che andai alla Guggenheim, c'era anche Scheiwiller, uno che come me si nutriva di segni, di parole, di libri; anzi lui faceva peggio di me: i libri li faceva pure. Dico che ci doveva essere in Vollard, una ragione di piacere al di la del fatto commerciale, se seguitò a farli malgrado le perplessità e l'incomprensione dei bibliofili, per tradizione legati agli illustratori di professione.
Il libro d'artista non era evidentemente destinato a loro, ma ad un collezionismo colto, aperto alle novità, in sintonia con i tempi moderni che lo sviluppo della scienza e la filosofia andavano prefigurando.
E Vollard non trascurava certo gli affari: per i libri d'artista affidò, per esempio, alle associazioni artistiche la stampa delle illustrazioni; così spendeva meno e le stampe erano professionalmente ineccepibili. Ma così facendo lasciava tempo e libertà agli artisti per l'esecuzione delle matrici che a volte richiedevano anni.
Vollard abbinava testi consacrati ad artisti famosi. Poi vennero i libri altrettanto belli di Kahnweiler. Kahnweiler concepì un'idea diversa: fare illustrare testi di scrittori sconosciuti (o quasi) da artisti loro amici altrettanto sconosciuti (o quasi). Un investimento rischioso, ma anche un'opportunità in più per gli scrittori e gli artisti. Le tirature piccole, avrebbero poi ridotti i rischi e le spese; ai libri, dove fosse arriso il successo, era pur sempre possibile la tiratura della normale edizione da libreria.
Perché sia diventato editore, Roberto Gatti forse non lo saprebbe dire, ma credo di saperlo io o non sono suo amico: Roberto Gatti è diventato editore per necessità, per poter produrre i libri che gli sarebbe piaciuto trovare già fatti, nella tradizione che da quei grandi, arriva ai nostri giorni, a Romero, Upiglio, Teodorani, Sciardelli, fino a Piergiorgio Spallacci che Gatti considera suo maestro. Essere contemporaneamente lo stampatore e l'editore dei propri libri, credo garantisca l'eccellenza del risultato. La lunga frequentazione con maestri autentici, come Mimmo Paladino -che ha fatto di Gatti il suo stampatore eletto- e Joe Tilson -che ha individuato in Gatti l'interprete più consono al suo lavoro, che è insieme grafico e pittorico-, comporta una collaborazione strettissima. Ho avuto modo di vedere gli abbozzi, gli appunti, i menabò, le prove, i fogli su cui Gatti e Tilson, Gatti e Paladino si scambiano pareri, idee a mezzo di segni che diventano i diagrammi della loro creatività e prefigurano con lucida dialettica intellettuale l'esito dell'opera. Ho avuto fra le mani quei fogli che Gatti fa bene a conservare; a chi avrà modo di studiarli e indagarli, quei fogli, anche a frammenti, quegli appunti, riveleranno il mondo.
Al magistero di Gatti si affidano per la stampa dei loro fogli anche artisti della città di notevole spessore poetico: il visionario Wainer Vaccari e l'affabulatore Giuliano Della Casa, dalle preziose alchimie coloristiche all'acquatinta che la stamperia sa interpretare come meglio non si potrebbe.
A settembre i modenesi meno distratti potranno visitare le mostre che il Laboratorio d'Arte Grafica di Modena va allestendo in città e in stamperia e prendere coscienza di un mondo e di un'attività, che pochi conoscono e di cui la città dovrebbe andare fiera. E potranno vedere i fogli di tutti questi artisti e di tanti altri: tutte stelle di stamperia.
Nella luce chiara della stamperia, i gesti sono silenziosi, i torchi azionati con trattenuta emozione, l'odore della carta e degli inchiostri impregna l'aria e l'atmosfera si carica di sortilegio.
E dunque: quante pagine di segni preziosi avrà inchiostrato e stampato Roberto Gatti? E quante parole altrettanto preziose non andranno perdute perché incastonate nel sogno di quei libri che da là escono e vanno per il mondo, a nutrire a loro volta, i sogni di pochi collezionisti fortunati?
Insomma, a settembre a Modena, ci si potrà nutrire di segni e forse anche di sogni.


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